La fonte del Sacro

Il termine "mistico" deriva dalla parola greca mystikos ("appartenente ai misteri") con cui anticamente si definivano gli iniziati ai Misteri (mystai). Nel corso di tali celebrazioni ai partecipanti veniva comunicata una dottrina esoterica, cioè destinata a restare segreta. In Grecia erano famosi i Misteri di Eleusi, di Orfeo, di Dioniso, in Asia Minore i Misteri di Artis e Cibele, in Persia i Misteri di Mitra, in Egitto quelli di di Iside e Osiride. Tali concezioni collocavano il destino umano all'interno della più ampia vicenda dell'Universo: solo attraverso un lungo cammino di iniziazione l'uomo poteva ricongiungersi con il divino in una sorta di unità primigenia.

Il termine "mistico" sta dunque ad indicare, in senso stretto, colui che è a conoscenza dei Misteri, In senso più ampio definisce colui che ha ottenuto, o desidera ottenere, un contatto diretto con la "fonte del Sacro", con la sostanza divina e spirituale cui ogni tradizione religiosa assegna un nome simbolico diverso: Brahma, Tao, Allah, Jahvè, Assoluto ...

Alla base del Misticismo c'è il concetto secondo cui attraverso una pratica adeguata è possibile pervenire ad una conoscenza intuitiva della realtà, ad un sapere che viene trasmesso dall'esterno, al di fuori dei comuni canali razionali e dei normali processi d'apprendimento che seguono la via dell'esperienza e dell'intelletto. La conoscenza cui si perviene attraverso il misticismo è di tipo olistico, cioè integrato e onnicomprensivo, teso a cogliere le interazioni tra le singole "parti", in contrapposizione al pensiero analitico e riduzionista, incline invece a suddividere le cose, a parcellizzare i singoli elementi della verità, nella convinzione che i fenomeni possano essere compresi semplicemente "riducendoli" alle loro parti componenti. Il Misticismo è, quindi, essenzialmente un'esperienza di unione con la Realtà e di comunione con il Divino. Esso infatti è collegato al tentativo di afferrare l'essenza divina, ossia la realtò ultima delle cose, nel godimento di questa beatitudine (contemplazione).

Entrare nell'esperienza mistica significa, soprattutto, compiere un viaggio, filosofico e religioso, alla scoperta della verità, di se stessi e di Dio. Volendo sintetizzare si può affermare che esistono tre modalità pricipali per svolgere un percorso mistico: Conoscenza (intesa come una via di conoscenza), Azione (intesa come un tipo d'esperienza), Meditazione (intesa come maturazione di uno stato elevato di Coscienza). Alla base di tutto vi è la Consapevolezza, cioè la comprensione profonda che qualcosa sta accadendo. In quest'ottica la coscienza non è altro che una consapevolezza modulata della struttura della mente: l'una e l'altra formano insieme un "continuo". Ogni percorso mistico privilegia il modo di vivere la spiritualità più conforme alla propria personalità. Si potrebbe affermare che "le strade che conducono al Divino sono tante quante le culture umane e le coscienze individuali". Esistono perciò diverse esperienze mistiche ebraiche, cristiane, islamiche. Allo stesso modo è pervasa di misticismo l'esperienza religiosa degli sciamani, dei monaci buddhisti, dei maestri zen e sufi, degli asceti induisti, dei sacerdoti taoisti, scintoisti e confuciani. Tutti questi fenomeni, pur attingendo idealmente dalle medesime esigenze e pur essendo caratterizzati da finalità identiche e da connotazioni simili, sono ricchi di sfaccettature diverse al loro interno. Insomma, ogni cultura, religione, forma di pensiero è in grado di offrire differenri strade mistiche, corrispondenti ad un'unica necessità interiore.

L'esperienza dell'Uno

Il misticismo è fondamentalmente esperienza dell'Uno, dell'unità profonda tra umano e Divino, tra finito e infinito, tra mondo e Dio. Appartiene all'esperienza mistica la consapevolezza che il mondo non è semplice oggetto d'utilizzazione o mero prodotto della creazione di un Dio che resta a questo estraneo e opposto (alterità del Divino), ma che, al contrario, la materia è lo spirito visibile e che tutto l'essere, dunque anche la natura, non esiste al di fuori di Dio. L'esperienza dell'Uno è, perciò, esperienza dello spirito e dell'unità nello spirito (unitas spiritus). Essa è intimamente dialettica, in quanto è al di sopra di ogni contenuto e determinazione e, nello stesso tempo, è in grado di rendere conto di ogni contenuto e determinazione. Il linguaggio dei mistici è, per questo, spesso paradossale, ricco di antitesi e, in ultima analisi, sfocia nel silenzio, che è pienezza di ogni espressione. Ma ciò non significa che non si possa comunicare l'esperienza dello spirito anche attraverso il linguaggio. Tuttavia essa diviene comprensibile solo in presenza di un'esperienza simile e la sua forma espressiva propria è quella della "proposizione speculativa", che ingloba in sè gli opposti (come avviene nella meditazione Zen), concepiti come realtà complementari congiunte in un'unica verità. L'esperienza dell'Uno, infatti, non è soltanto intellettuale, ma presuppone un percorso pratico grazie al quale perdono d'importanza e appaiono vani, illusori e insignificanti tutti i contenuti determinati.

L'esperienza dello spirito è sintesi d'intelligenza e amore, che non è passione e legame ma, al contrario, carità e compassione che si dilata, dimentica di se stessa e libera da ogni condizionamento. Perciò il momento della riflessione e della consapevolezza diventa necessario per per riportare tutto all'umano e per togliere a quest'ultimo ogni pretesa d'assoluto, ogni presunzione d'affermazione egoistica dell'io psicologico, capriccioso e possessivo. Amore è distacco da questo io utilitaristico, è oblìo di se stesso nella giustizia e nel bene. Il distacco consente di ricondurre al relativo ogni preteso assoluto, scartando ogni ogni determinazione rigida. L'io spirituale, infatti, ha come sua forma propria l'unità, e gli è estranea la dualità che è, invece, tipica dell'io psicologico.

L'esperienza spirituale vive il mirabile quotidiano della realtà presente del mondo, evitando le esperienze eccezionali, di carattere idolatrico e superstizioso, che appartengono alla sfera psicologica dell'io. La rivelazione divina non è altro che rivelazione di se stesso e del mondo, comunicazione diretta da spirito a spirito: questo è il senso che è stato colto dai grandi mistici, che hanno rifiutato tutto il repertorio delle "visioni" private, degli eventi miracolistici e delle fruizioni estatiche particolari nelle quali il Divino si banalizza in contenuti determinati, ribadendone l'alterità rispetto al Creato e imponendo una falsa contrapposizione tra naturale e soprannaturale. La definizione di mistica come "conoscenza sperimentale del divino" è corretta purchè la si intenda come esperienza dello spirito, non certo nel senso di esperienza sensibile particolare. Il misticismo non si rivolge al particolare, ma all'universale: il suo obiettivo non è l'eccezionalità, ma la costante e serena esperienza dello spirito presente, in quel continuo miracolo che è la vita quotidiana che appare come tale non appena l'io psicologico cede il campo allo spirito.

Nell'esperienza dell'Uno non ci può essere atteggiamento fideistico (di per sè irrazionale e alienante), inteso come credenza in un complesso di dogmi, o devozionale, inteso come attuazione pratica di precetti, ma solo conoscenza ed esperienza dello spirito. In quanto esperienza di unità, il misticismo è sempre percezione dell'Assoluto nel presente, qui e ora. L'uomo mistico, che vive nel distacco dell'amore, non ritiene di aver bisogno di altre condizioni di beatitudine, terrena o celeste, per provare perfetta letizia. La sua gioia è nel presente, in questo mondo e in questo cosmo, uno e divino. Il male appare come un elemento essenziale alla sua esistenza, come una realtà necessaria alla sua crescita ed evoluzione spirituale. L'esperienza mistica non apre una specie di canale eccezionale di comunicazione tra uomo e Dio, contraddistinto da speciali "doni" offerti dall' "alto". La mistica non è fatta di sensazioni eccezionali (ci possono essere mo non sono indispensabili), bensì della trasformazione di tutto il quotidiano in una costante e infinita gioia, che non cessa di apparire straordinaria. E' l'universale, il normale, il quotidiano a ricevere il carattere dell'assoluto: l'esperienza mistica dell'unità è l'esistenza nel presente, capace di vedere l'Infinito nel finito, il Tutto nel frammento.

Il Libro mistico

Ogni forma mistica è, di per se stessa, negativa e dialettica. Il distacco, l'annullamento di ogni legame condizionante, fa uscire dai contenuti finiti e dalle opinioni parziali, ovvero permette di stare nell'infinito, ove si può contemplare la verità di ogni contenuto e, insieme, il suo limite. Per questo la mistica è negativa, perchè rifiuta ad ogni finito la qualifica di infinito e di assoluto. Quindi è anche dialettica, perchè coglie l'infinito e l'Assoluto in tutte le cose, in ogni finito. Contro ogni esclusivismo confessionale e religioso, essa vede la presenza divina dappertutto (pantachoú kái oudamoú : "dappertutto e in nessun luogo", come diceva Plotino) e combatte qualsiasi concezione gelosa e particolaristica del divino. Quindi fanatismo religioso ed intolleranza sono segni evidenti di inesperienza dello spirito.

Da tutto ciò ne consegue che esiste un rapporto conflittuale tra misticismo e Scritture, intese come "corpus" dottrinale che si ponga come determinato e condizionante nel rapporto dell'uomo con il Divino (teologia positiva). Come recita un distico del mistico tedesco Johannes Scheffler (detto Angelus Silesius):

La Scrittura è scrittura, e null'altro! 
Mio conforto è l'essenza
E che Dio parli in me la Parola di vita eterna.
Amico, basta oramai. Se vuoi leggere ancora,
và e diventa tu stesso la Scrittura e l'Essenza.

Diventare l'essenza, diventare la cosa stessa e trasformare se stesso nel "luogo", nel Libro della manifestazione divina : questo è ciò che il mistico insegna. Se si intende la fede come credenza nei contenuti di un Libro e si pone questo fatto come discriminante del legame con il Divino allora è chiaro che non vi può essere esperienza mistica. Sotto questo profilo, quindi, la mistica si oppone radicalmente alla "Parola". Solo se si riconosce la finitezza e la determinazione di ogni Libro, collocando ciascuna Scrittura accanto a tutte le altre, si può intraprendere un cammino che conduce alla "unitas spiritus".

Dentro la Creazione

E' possibile tracciare precisi paralleli e analogie tra le varie forme di misticismo: salvo restando le differenze fondamentali tra le varie culture, esistono elementi comuni nel linguaggio, nelle espressioni simboliche e nelle manifestazioni esteriori.

Una delle caratteristiche basilari dell'esperienza mistica è la concezione monista della Realtà e immanente del Divino. Tale visione sottolinea la profonda unità esistente tra gli esseri e le cose, tra le creature e il creatore, tra la materia e lo spirito. Il Bene nasce dalla perfetta armonia che si genera all'interno della Creazione,tra gli elementi,strettamente interdipendenti tra loro, dell'intero Universo; il Male è partorito dalla disarmonia, dalla rottura dell'equilibrio tra le singole parti della Realtà. L'armonia può nascere solo dalla convinzione che gli "opposti" non esistano in quanto tali, ma solo come entità o categorie complementari, in perenne e dinamico equilibrio reciproco. Di conseguenza qualsiasi atto o pensiero che crei contrapposizione o tenda a categorizzare in modo rigido e dogmatico la realtà è sicuramente fonte di squilibrio e causa di involuzione umana e spirituale. Nel misticismo si assiste, quindi, ad un processo di superamento di ogni dualitò, in quanto ogni evento e il suo "contrario" sono percepiti esclusivamente come manifestazioni apparentemente distinte di un'unica autentica e significativa realtà di fondo (come "due facce della stessa medaglia"). Da ciò si deduce che, per il mistico, il mondo esterno e apparente, il mondo dei viventi, coincide con il mondo divino, con la Realtà "trascendente" di dèi e defunti, in nome dell'unità essenziale del visibile con l'invisibile. Dio diviene, così, il compimento dell'azione e dell'evoluzione collettiva di tutti gli esseri coscienti: l'Essere (o gli esseri) supremo "trascendente" che incarna la "divinità", distinto dalla creazione e idealmente collocabile in qualche luogo esterno ad essa non esiste più, è una pura rappresentazione della mente o, comunque, esiste solo in quanto congiunto alle creature viventi che consapevolmente lo percepiscono. L'uomo non è rinchiuso come un prigioniero nella materia, ma si espande e coevolve in essa lungo un percorso in continuo divenire. Il Male metafisico rappresenta semplicemente l'imperfezione degli esseri, situazione normale in un'evoluzione perenne e stato necessario per pervenire ad uno stadio superiore di coscienza. L'accettazione e la considerazione del mondo e della Natura come realtà radicalmente pervase dall'energia divina fa sì che essi divengano un ideale "strumento di perfezione". In molte esperienze mistiche si assiste ad una sublimazione della natura stessa in quanto manifestazione divina, compreso l'uomo nella sua dimensione corporea: la carne non è "maledetta", bensì armoniosamente coltivata come lo spirito, in quanto aspetto ad esso complementare della medesima realtà.

La ricerca dell'estasi

Il termine greco ektasis significa letteralmente "essere collocato al di fuori". Esso sta ad indicare uno stato di coscienza elevata nel quale una persona si trova al di fuori di se stessa, o meglio oltre se stessa e la propria individualità. Il punto d'arrivo dell'estasi, infatti, è sempre lo svuotamento dell'anima, condizione necessaria per stabilire un contatto e una comunione con una realtà infinitamente più grande e più profonda, capace di colmare l'essere con la sua invadenza teofanica. L'estatico passa attraverso una serie di esperienze a livello sensoriale ed emozionale che riempie totalmente la sua coscienza. A seconda delle culture e delle epoche si può rilevare che, per raggiungere la dimensione estatica, sono stati utilizzati i mezzi più diversi, distinguibili in veicoli fisici e veicoli psicologici. Tralasciando di parlare dell'uso di sostanze psicotrope ed inebrianti, pericolose e, comunque, capaci di produrre solo stati estatici illusori ed artificiali (e quindi inconsistenti), tra gli strumenti fisici si possono citare la danza, il digiuno, la pratica ascetica, le tecniche del respiro, l'esercizio della castità o quello della sessualità sacra. Tra i mezzi di carattere psicologico vi possono essere la rinuncia ascetica, la meditazione, la riflessione sui testi sacri, il silenzio. Tutti questi strumenti, nella loro naturalità, possono condurre a significativi salti della coscienza, aprendo la strada a dimensioni spirituali più elevate. Occorre, comunque, tener presente che in genere l'esperienza mistica non punta all'eccezionalità della dimensione estatica, ma alla sua normalità, in coerenza con il significato letterale del termine: quando si esce dal piccolo io psicologico, capriccioso e possessivo, e si diventa spirito universale, ogni istante diviene estatico, nel senso di una profonda gioia.

Forme dell'estasi

Al di là che possa essere raggiunta attraverso particolari tecniche, l'estasi, pur non essendo una condizione necessaria alla realizzazione di una piena esperienza mistica, rappresenta, senza dubbio, uno degli eventi più straordinari che possono caratterizzarne la sua espressione. Essa viene considerata il mezzo ideale per giungere alla conoscenza diretta e alla percezione immediata della realtà ultima, attraverso le vie privilegiate dell'emozione e del'intuizione.

L'emozione introduce all'esperienza estatica della comunione, nella quale il mistico, pur essendo in contatto con l'essenza divina, conserva la propria individualità. L'intuizione apre, invece, le porte all'unione, rappresentata da un'identità ontologica con il Divino.

Nel giudaismo, nel cristianesimo e nell'islamismo l'estasi è spesso un'esperienza limite, appannaggio soprattutto di singole personalità eccezionali più che di gruppi organizzati. Le correnti mistiche islamiche sottolineano il dissolversi dell'io in Dio (Sufismo). Nel misticismo cristiano l'estasi si esprime come gioia, come ineffabile godimento interiore, derivante dall'unione con Dio. Il cammino dell'anima verso Dio segue generalmente tre tappe: purgativa, illuminativa, unitiva. Nel misticismo medievale di S. Agostino si individuano tre forme dell'estasi: corporea, immaginativa, intellettuale. La prima forma è percepita obiettivamente, la seconda nasce da un'esperienza puramente interna, la terza è priva di ogni immagine o forma.

Al contrario esistono altre culture religiose (sciamanesimo e spiritualità orientale) per le quali l'esperienza estatica è mezzo insostituibile per un contatto profondo col divino e per il raggiungimento della liberazione individuale e collettiva. Nella tradizione induista e buddista la sperimentazione dell'estasi può avvenire in tre modi: un modo non teistico, esperienza introvertita in cui si sopprime ogni modificazione mentale e si sperimenta l'unicità immutabile e statica, infrangendo ogni barriera che si frappone tra il soggetto e l'universo circostante; un modo teistico, in cui l'estasi scaturisce dall'amore emanante dall'energia divina; un modo transteistico, assoluto ed ineffabile, pieno di rapimento e di gioia, in cui la distinzione tra soggetto e oggetto dell'esperienza è annullata.

Come scrisse il grande poeta bengalese R.Tagore:

"Improvvisamente mi sentii come se una persistente foschia si fosse d'un tratto levata e il significato ultimo delle cose mi apparisse nella sua nudità ... Trovai che fatti fino allora separati e sfuocati si presentavano con una grande unicità di significato ... Un'inattesa sequela di pensieri percorse la mia mente, come una misteriosa carovana che trasportava le ricchezze di un regno sconosciuto. Immediatamente percepii un mondo immerso in una meravigliosa radiazione, con ondate di bellezza e di gioia, che si propagavano per ogni dove e nulla al mondo, nè persone nè cose, mi appariva banale e sgradevole."

 

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